Krugman: Grazie alla crisi passano le riforme dell’élite

Krugman: Grazie alla crisi passano le riforme dell’élite

di Paul Krugman -
Noah Smith ha recentemente espresso un interessante punto di vista sui reali motivi per cui le élite sostengono così tanto l’austerità, anche se in pratica essa non funziona. Le élite, egli sostiene, vedono le difficoltà economiche come un’opportunità per costringere a delle riforme (cioè in sostanza i cambiamenti da loro desiderati, che possano servire o meno a promuovere la crescita economica) e si oppongono a tutte le politiche che potrebbero attenuare la crisi senza rendere necessari questi cambiamenti: «Penso che gli “austerians” siano preoccupati che delle politiche macro anti-recessione consentirebbero a un Paese di cavarsela nella crisi senza migliorare le sue istituzioni. In altre parole, temono che uno stimolo di successo potrebbe sprecare le possibilità offerte da una buona crisi. Se la gente pensa realmente che il pericolo di uno stimolo non è che potrebbe fallire, ma che potrebbe avere successo, allora dovrebbe dirlo chiaramente. Solo così, credo, potremmo avere un dibattito pubblico ottimale sui costi e benefici».

Come Smith osserva, il giorno dopo aver scritto questo post, Steven Pearlstein del “Washington Post” ha fatto esattamente questa argomentazione a sostegno dell’austerità.

Ciò che Smith non ha osservato, in modo alquanto sorprendente, è che la sua tesi è molto vicino alla Shock Doctrine di Naomi Klein, la quale sostiene che le élite sistematicamente sfruttano i disastri per far passare politiche neoliberiste, anche se tali politiche sono sostanzialmente irrilevanti sulle cause dei disastri. Devo ammettere che al tempo della sua pubblicazione non ero tanto ben disposto verso il libro di Klein, probabilmente perché fuori dal campo della professionalità e cose simili, ma la sua tesi aiuta davvero a spiegare molto di quello che sta succedendo, in particolare in Europa.

Scrive la Klein: « Per decenni le destre hanno sfruttato le crisi per far accettare proposte che non hanno nulla a che fare con la risoluzione di tali crisi. Il Wisconsin non è diverso. Dal Cile degli anni Settanta in poi gli ideologi della destra hanno sfruttato le crisi per spingere proposte che nulla hanno che fare con la risoluzione delle crisi, e che tendono ad imporre la loro visione di una società meno democratica, dura, e più diseguale. Non c’è niente di sbagliato nel rispondere alla crisi in maniera decisa. Le crisi richiedono risposte decisive. Il problema è questo ambiguo tentativo di usare la crisi per centralizzare il potere, di sovvertire la democrazia, di evitare il dibattito pubblico dicendo: “Non abbiamo tempo per la democrazia. È tutto in confusione. Non importa quello che volete. Non abbiamo scelta. Dobbiamo forzare”. Sta accadendo tutto su vasta scala».

E la storia va ancora più indietro. Due anni e mezzo fa Mike Konczal ci ha ricordato un classico saggio del 1943 di Michal Kalecki, il quale suggeriva che gli interessi del business odiano la teoria economia keynesiana perché temono che potrebbe funzionare. E questo comporterebbe che i politici non dovrebbero più umiliarsi davanti agli uomini d’affari in nome del fatto di preservare la fiducia. È un argomento abbastanza vicino alla tesi che l’austerità è necessaria perché lo stimolo potrebbe togliere l’incentivo alle riforme strutturali che, avete indovinato, offrono alle aziende la fiducia di cui hanno bisogno prima di degnarsi di produrre la ripresa.

Quindi, un modo di vedere la via dell’austerità è l’implementazione di una sorta di giuramento di Ippocrate al contrario: «In primo luogo, non far nulla per limitare il danno». Perché la gente deve soffrire se le riforme neoliberiste devono prosperare.

da Globalist.it


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