«La crisi abitativa è arrivata prima di quella economica»
Pubblicato il 15 mag 2013
di Giorgio Salvetti -
«Le fondamenta che hanno retto il business del mattone stanno cedendo. La crisi sarà lunga. Mancano politiche di welfare anche abitativo e i primi a pagare sono i più disagiati. Ma è un circolo vizioso che finisce per far saltare l’intreccio tra immobiliaristi, speculazione e finanza che ha pompato l’economia tra il 1998 e il 2007, e che di fatto così ha cercato di sostituire l’industria manifatturiera». Pierluigi Rancati, segretario generale del sindacato inquilini Sicet Lombardia, è pessimista e sa di cosa parla.
A che punto è la crisi abitativa in Italia?
C’era già prima della crisi economica e immobiliare ed è molto peggiorata dopo il 2008. Il divario tra i prezzi delle case, gli affitti e i redditi è sempre più elevato. Anche se prezzi e affitti tendono a calare, i redditi subiscono una contrazione molto maggiore. Senza considerare che molti affitti sono stati stipulati prima della crisi e a questo punto sono insostenibili. Inoltre si contrae sempre di più il sistema di protezione sociale che comprende anche la casa. La politica di austerità espansiva in questo modo produce una crisi di lungo periodo che ha dimensioni generazionali. Peggiorerà, nonostante sia i mercati che i governi continuino a rilanciare la speranza di un’imminente ripresa.
Avete fatto degli studi che confermano queste previsioni pessime?
Ad esempio l’evoluzione della domanda più disagiata di casa in Lombardia fino al 2018 indica una richiesta di edilizia pubblica a canone sociale di 400 mila unità, e una domanda di edilizia convenzionata, che in Italia chiamano co-housing, di 127 mila unità. Significa che sempre più persone non hanno i soldi per accedere all’edilizia cosiddetta libera dove invece l’offerta è sempre più sproporzionata alle possibilità di assorbimento del mercato. A questo si deve aggiungere che 9 sfratti su 10 sono per morosità. Ci vorrebbe una vera politica pubblica della casa che invece non esiste. Non solo non c’è più l’equo canone, ma la legge che l’ha sostituita non funziona. L’idea che i privati potessero investire sull’edilizia sociale si è rivelata per quello che è: un’illusione.
Ma non ci sono soldi, come si può finanziare un piano di edilizia pubblica?
Quelli che non hanno i soldi sono i cittadini che non riescono in queste condizioni ad avere un tetto. Quanto alle risorse per realizzare un piano di edilizia pubblica bisogna considerare che il fisco sul comparto immobiliare è stato munifico e generoso, altro che Imu. Per non parlare della fiscalità molto modesta sul reparto delle costruzioni e sugli oneri urbanistici. Qui vanno cercate le risorse che servono.
Come mai la bolla del mattone in Italia non è scoppiata con virulenza come invece è accaduto negli Stati uniti o in Spagna?
Il modello dell’economia a debito in realtà è scoppiato anche da noi. In Italia le case invendute sono sempre di più, i dati sono contrastanti ma si parla di un minimo di 400 mila abitazioni, o forse del doppio. Se qui non è già saltato tutto è per la politica economica moderatrice delle famiglie che sono le prime operatrici del mercato della casa. Ma le banche sono sempre più esposte con gli immobiliaristi, che però falliscono o sono tenuti in vita con prestiti sempre più rischiosi. Si cerca di congelare la situazione nella speranza che passi la nottata. E invece così le cose non miglioreranno.
Cosa pensi della vicenda di Ragusa?
La casa è il bene ultimo su cui ci si rifà per recuperare i crediti. I pignoramenti sono in costante aumento. Non solo gettano nella disperazione le persone, ma oltretutto non risolvono il problema neppure dei creditori. Una banca che si rifà sulla casa di un debitore si ritrova con in mano un bene che non riesce a vendere o che si vende all’asta, ma molto deprezzato. Il debito resta in pancia alle banche che l’hanno creato. Pignorare non risolve nulla.
Il Manifesto – 15.05.13
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