Genova, il porto, il lavoro e i suoi lavoratori

Genova, il porto, il lavoro e i suoi lavoratori

di Gian Luca Lombardi -
A Genova è difficile trovare una famiglia che non abbia al suo interno un lavoratore portuale; come potrebbe essere differente dato che la città nasce dal suo Porto? Genova, porta sul mediterraneo, lo avevano già capito i Romani che volevano a tutti i costi espugnare la città marinara, ma dovettero poi cedere alla durezza e anche rozzezza della popolazione autoctona.
Ieri il Porto si è fermato, lo abbiamo visto in piazza Matteotti, lo abbiamo sentito, per fortuna riuscendo a far parlare i lavoratori dal microfono non senza difficoltà, mettendo a dura prova gli animi già abbastanza sofferenti, ma dignitosamente coerenti. Ecco, la riprova dell’assenza della città tutta, quella che giornalmente calca il selciato di Piazza De Ferrari e giornalmente spende per mangiare, era tangibile. Diciamoci la verità, la città, le persone, i negozianti, gli studenti non c’erano. Ecco che ritorna allora, ancora più tangibile la distanza tra istituzioni e abitanti; tra istituzioni e vita quotidiana.
Non sono mai stato un seguace degli autonomi, o di chi si sente, rubando una frase al nostro De Andrè, “Come Gesù nel tempio” ma ieri chi era presente al lutto cittadino in Piazza Matteotti ha sentito e visto una realtà che vive di Porto, che vive nel Porto e che sono il “Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali”. Compagni, lavoratori che tutti i santi giorni calcano le banchine del Porto e cercano di attuare ciò che si è perso negli anni e cioè mutualità e socializzazione del lavoro e soprattutto della lotta. Ieri mattina le Istituzioni hanno sbagliato, hanno sbagliato a non voler dare la parola a chi in Porto lavora; hanno sbagliato anche quelli che contestavano il Parroco cappellano che è intervenuto in Piazza a commemorare i morti sul lavoro, ma l’errore più grosso è stato commesso dalle istituzioni che in momenti così gravi hanno il dovere di ascoltare e mettersi a disposizione dei lavoratori e di chi il Porto lo vive tutti i giorni sulla propria pelle.
Il Collettivo ha letto un documento condivisibile, direi un documento di chiarezza non emendabile e soprattutto di onestà lavorativa e umana. Le banchine del Porto di Genova sono ormai privatizzate per buona parte dell’estensione e mancano spesso di reale tutela della sicurezza. Girando per il Porto vedrete “Rizzare” cioè legare insieme i contenitori, lanciando i piedini da un contenitore all’altro con il forte rischio di prendersi, nella migliore delle ipotesi, un kilo e mezzo di ferro sulla testa. Tralasciando naturalmente tutti i lavori in stiva, a bordo e anche sulla banchina.
Quando si parla di lavori specializzati facciamo parlare chi realmente se ne occupa, lasciamo indietro per un momento l’istituzione in quanto tale e mettiamo a disposizione della politica lo strumento cardine per il processo della democratizzazione del lavoro e cioè il Lavoratore. Riprendiamoci lo strumento della discussione e imponiamolo a chi ha le verità in tasca, riportiamo il lavoro dignitoso e sicuro nella discussione di oggi per il domani e cerchiamo dove possibile di tenere uniti i lavoratori e la città.
Ieri si sono visti tanti lavoratori, tanti portuali e pochissimi studenti e praticamente assente la città: mettiamoci al lavoro per ricostruire un tessuto connettivo tra tutti questi soggetti che formano le basi sulle quali ricostruire la nuova mutualità per il lavoro e per i diritti.


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