Uno sparo nel buio

Uno sparo nel buio

di Tommaso Di Francesco -
Sessantacinque anni fa, nel quadrilatero romano dei cosiddetti Palazzi del potere, davanti all’uscita secondaria di Montecitorio – non lontano da Palazzo Chigi e a cento metri dalla sparatoria di questi giorni che ha ferito così drammaticamente due carabinieri – venne colpito a rivoltellate Palmiro Togliatti, il capo del Partito comunista italiano e tra i leader dei comunisti e del movimento operaio nel mondo. Allora la destra, rappresentata in larga parte dalla Dc, fece di tutto per dimostrare che quel gesto più che mirato fosse solo opera dello studente Pallante, un «isolato» quando non squilibrato. Oggi la destra, quasi tutta rappresentata da un governo di larghe intese sotto ricatto del redivivo Silvio Berlusconi, si adopera a spiegarci in modo sporco che quello dell’operaio disoccupato, disperato e spostato sociale, è un attacco alle istituzioni repubblicane e alla democrazia, mirato nientemeno che a colpire lo sforzo «immane» di avviare il nuovo governo Letta, ambiguamente voluto da uno schieramento così vasto da diventare oscuro all’orizzonte. Attacco del quale è responsabile «l’estrema sinistra», ha ripetuto il Cavaliere. Come se non bastasse, viene evocato un rapporto dei Servizi segreti, tenuto pronto all’uso nel cassetto, che rivela il pericolo rappresentato da una nuova «insorgenza sociale».
Bene ha fatto dunque la presidente della Camera Laura Boldrini a ricordare il precipizio umano della condizione italiana. Quando ha parlato di «emergenza» e per lo sparatore Luigi Preiti, definendolo una «vittima che diventa carnefice», invitando così ad una drammatica riflessione i partiti vecchi e nuovi. Male, malissimo invece ha fatto il presidente del Senato Pietro Grasso che ha invitato a questo punto a chiudere il periodo delle tensioni sociali, come se queste possano essere accese o spente dall’alto con il telecomando, o quel che è peggio per decreto legge.
È invece vero che solo la rappresentazione in movimenti delle tensioni sociali, anche in questa fase di forzata scelta di un governo unanime, può essere garanzia di mantenimento del processo democratico italiano. La democrazia si difende con la democrazia. Anche perché il governo Letta costruisce una compagine unitaria tra fronti dichiaratamente contrapposti, deludendo tutte le componenti e le aree di partito, umilia le aspettative di un indirizzo nuovo, di un cambiamento, e mostra una debolezza interna e internazionale, in Europa soprattutto, profonda.
Urge a questo punto sapere cosa resta della sinistra che, come per Luigi Pintor nel suo ultimo editoriale dieci anni fa, non esiste più come l’abbiamo conosciuta. Quale ricostruzione è necessaria nell’epoca dei movimenti post-politici e post-democratici, quali radicamenti sociali e di classe servono e come costruire nuovi insediamenti e istituti. Nella consapevolezza che gli ultimi movimenti post-politici – al di là del ridicolo di attribuire tutte le colpe al povero Movimento 5 stelle – si presentano come uno strano, mostruoso ircocervo, una sorta di bolscevismo senza prospettiva rivoluzionaria, con bolscevichi estremi ma senza progetto di transizione ad una società superiore. E in più, per la loro radicalità manichea e programmaticamente riduttiva ed elencatoria, capaci intanto di destabilizzare l’esistente, allargando così una voragine già sprofondata, che prima o poi rischia, in assenza di una proposta alternativa, di essere riempita da una nuova, insidiosa destra dotata stavolta di ascolto sociale dell’odio affluente.
il manifesto 30 aprile 2013

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