È a rischio la civiltà urbana

È a rischio la civiltà urbana

di Paolo Berdini -
Ieri gli autobus dell’Azienda deitrasporti pubblici di Napoli sono rimasti nei depositi perché non c’era carburante per farli circolare. Il gravissimo fenomeno non è un caso isolato perché si inquadra in un processo in atto da anni. Le scuole che cadono in pezzi; gli ospedali che vengono chiusi o ridotti nel numero dei posti letto; i servizi di assistenza ai portatori d’handicap chiusi senza pietà. Addirittura, nel novembre scorso i ciechi banchieri di governo costrinsero allo sciopero della fame i malati di Sla, cui avevano tagliato 400 milioni di euro destinati all’assistenza.
Ma pure in questo quadro di dilagante inciviltà, la vicenda napoletana rappresenta un passo gigantesco verso il baratro, un campanello d’allarme che faremmo bene a non sottovalutare. Se mancano i trasporti urbani in una grande città come Napoli, si mette a rischio il diritto dei cittadini a muoversi, a risolvere i problemi di lavoro, di studio, di relazioni, di svago. Si mette a rischio la stessa nozione di civiltà urbana. Prima che la situazione diventi ingovernabile perche il fenomeno potrebbe estendersi all’intero welfare urbano, sarebbe dunque opportuna una decisa presa di coscienza, risalendo alle cause del disastro.
Agli inizi degli anni ’90 con il trionfo dell’ideologia neoliberista, si decide che nelle città deve scomparire la mano pubblica: al loro futuro penserà “il mercato”. Da allora è iniziato il taglio selvaggio dei bilanci comunali e la privatizzazione delle aziende di erogazione dei servizi. Oggi paghiamo le conseguenze: le città si sono impoverite e quasi tutti i comuni versano oggi sull’orlo del fallimento. Roma ha 11 miliardi di deficit dovuto alla gigantesca espansione urbanistica. Torino ha 3 miliardi di deficit causati dalla folle avventura delle Olimpiadi invernali. Parma ha un miliardo di deficit dovuto alle prebende elargite attraverso la creazione di 35 società di gestione dei servizi urbani.
Sono cifre impressionanti, cui dovremmo aggiungere l’ammontare di cui non si hanno neppure i numeri precisi,dei fondi derivati sottoscritti da molte amministrazioni comunali. Ora che l’opera di demolizione mostra tutta la sua drammatica verità, la cura dei banchieri è una: svendere il patrimonio immobiliare. Balle: Roma pensa di ricavare da questa svendita 100 milioni di euro, neppure l’uno per cento del debito! L’unico rubinetto lasciato aperto per avere soldi è stato quello del cemento e dell’asfalto.
Quando era ministrodei governi di centro sinistra, Franco Bassanini, oggi approdato felicemente alla Cassa depositi e prestiti, ha liberalizzato l’uso degli oneri di urbanizzazione fino ad allora vincolati al miglioramento delle qualità urbana. Da quel momento i comuni hanno autorizzato un diluvio di cemento per cercare di sopravvivere. Entrambi gli schieramenti politici hanno fatto finta di non vedere che la mancanza di politiche urbane coerenti e rigorose avrebbe messo in ginocchio le amministrazioni locali. Il “sistema” Sesto San Giovanni è soltanto la punta dell’iceberg di una follia collettiva che ha attraversato il nostro paese e che oggi, come dimostrano i lavori di Salvatore Settis, mette a repentaglio la stessa sopravvivenza del paesaggio italiano. Con la vicenda del gasolio napoletano, tocchiamo con mano che stiamo distruggendo la convivenza civile e la stessa nozione di città come luogo pubblico per eccellenza. Luciano Gallino ha affermato spesso che la crisi economica provocata dall’economia neoliberista induce una più generale crisi della civiltà. Quanto sta avvenendo al settore dei trasporti pubblici di Napoli è la peggiore conferma delle sue affermazioni.

Il Manifesto – 31.01.13


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