Una lezione di democrazia dalle scuole e dalle università

Una lezione di democrazia dalle scuole e dalle università

di Mariano Di Palma -
Per Lunedì 15 Aprile la Rete della Conoscenza ha indetto un Referendum Studentesco (www.referendumstudentesco.it). Per la prima volta gli studenti e le studentesse di scuola e università si esprimeranno su 7 quesiti riguardanti il futuro della nostra generazione, il modello di scuola e università che vorrebbero, le loro valutazioni sull’attuale sistema formativo.

Il tema che ha fatto da cornice alle lotte di diverse generazioni di studenti e studentesse in questi anni può essere sintetizzato in una parola: Democrazia. Democrazia nei luoghi della formazione significa che nulla nelle scuole e nelle università può essere deciso senza tenere in conto la volontà di chi le vive ogni giorno, a partire proprio dalla componente studentesca, parte viva, maggioritaria e strutturale. Nella storia, invece, è avvenuto sempre il contrario: riforme calate dall’alto da governi che non hanno mai ascoltato gli studenti, le loro idee, le loro proteste.

In questi anni nelle scuole e nelle università si è sperimentato, però, un altro modello di fare scuola ed università, che ha bypassato completamente l’attesa della “riforma giusta” e che ha provato a dimostrare come cambiare i luoghi della formazione sia possibile, oltre che necessario.
Con il Referendum dei prossimi giorni gli studenti e le studentesse dimostreranno che le proteste di questi anni non sono state portate avanti da fannulloni e bamboccioni, ma da una generazione che ha le idee e le ragioni per voler cambiare davvero tutto.

Il Referendum, che partirà la prossima settimana, ha una forza conflittuale straordinaria: se in questi anni i governi sono stati sordi alle istanze di cambiamento e hanno sminuito prima, strumentalizzato poi le mobilitazioni, ora in centinaia di migliaia di studenti metteranno nero su bianco il modello d’istruzione che vogliono e quali sono le vere ansie di futuro di questa generazione.
In scuole ed università al collasso, specchio di una società in crisi, non si può più pensare di fare a meno di processi di democrazia reale. Non si può decidere del futuro e della vita degli studenti e delle studentesse, senza un processo di partecipazione e di trasformazione che nasca “dal basso”. E’ questa una delle straordinarie dimostrazioni di come il movimento studentesco sia portatore sano dei valori di democrazia e cambiamento. Non a caso Pasolini paragonò il movimento studentesco a quello partigiano, dicendo che erano state le uniche due esperienze democratico-rivoluzionarie della storia italiana.

Chi è abituato ad intendere la democrazia come un sistema di potere e di conservazione, ha interpretato, nel migliore dei casi, la rivendicazione radicale delle studentesse e degli studenti come un’utopia, una provocazione da risolvere magari con qualche incontro istituzionale. Chi, invece, fa proprio un concetto estensivo della democrazia e la considera un processo e non uno Statuto modificabile solo in peggio, ha ben chiara la straordinaria innovazione che gli studenti e le studentesse portano come bagaglio nelle lotte di questi ultimi anni.

Non si tratta solo di una battaglia “ideale”. La crisi di scuola e università è reale e le risposte che le studentesse e gli studenti hanno costruito e rivendicato in questi anni sono il polo opposto di questa crisi: da una parte provvedimenti intrisi della retorica sul merito ma che di fatto privatizzano, tagliano le borse di studio e impoveriscono il sistema formativo; dall’altra la concretezza di un’idea del mondo della formazione e della ricerca fondato su una elevata qualità per tutti.

Prendiamo degli esempi concreti: dalla Riforma Moratti nel 2005, fino alla Legge Gelmini nel 2010 e ai decreti del Ministro Profumo si sono avvicendate diverse riforme, duramente contrastate dagli studenti e studentesse che hanno denunciato il processo di devastazione e privatizzazione dell’università e delle scuole. Oggi tutti gli istituti di statistica, a pochi anni di distanza, denunciano con clamore i dati “preoccupanti”della crisi del sistema-istruzione (18% di abbandono scolastico, 58.000 iscritti in meno all’università). “L’Italia è il Paese Europeo che ha investito di meno in istruzione e ricerca” titolano i giornali di questi giorni; gli studenti lo denunciavano con allarme già tre anni fa. Forse ascoltare le ragioni delle proteste, non sarebbe stato solo giusto, ma anche un modo per riconoscere una straordinaria capacità degli studenti e delle studentesse di leggere la società nella direzione giusta.

Il campo del sapere è diventato una colonia: l’economia, l’arte, la ricerca, la chimica, l’ingegneria, la filosofia, gli studi giuridici sono tutti legati ad un unico modello di società e di pensiero. Siamo ciò che produciamo e ciò che studiamo viene solo valutato con la bilancia del profitto. In virtù di ciò si impoverisce lo studio, se si ha bisogno di una manodopera scarsa; si inaridiscono le idee, se si ha bisogno di un esercito di precari e precarie senza diritti; si elimina la democrazia, se è troppo lenta, costosa; si eliminano le voci fuori dal coro, se pensano qualcosa di diverso dal pensiero costituito.

Gli studenti e le studentesse non ci stanno. Ribaltano il tavolo e le regole del gioco. Dalla settimana prossima, riprendono il diritto di parola, le loro idee saranno sul piatto e davanti agli occhi di tutti. La politica riuscirà ad ascoltare e dare risposte o ancora una volta si chiuderà a giocare al toto nomination? Come se poi la democrazia funzionasse come il Grande Fratello…


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