I peccati di una sinistra né radicale né popolare

I peccati di una sinistra né radicale né popolare

di Enrico Grazzini -
La sinistra radicale si mangia il fegato dall’invidia: tutto quello che non è riuscita a fare dal ’68 in poi, in 45 anni di vita, è riuscito invece a fare Beppe Grillo in solo quattro o cinque anni. Grillo ha costruito un partito-movimento radicale con 8,7 milioni di voti, è riuscito a prendere voti sia da destra, rubandoli a Berlusconi e alla Lega, che a sinistra, togliendoli a Bersani, Renzi, D’Alema, Vendola e Ingroia. Soprattutto è riuscito a raccogliere milioni di voti popolari di protesta causati da una crisi sconvolgente per la quale due famiglie su tre guadagnano meno di quanto devono spendere per vivere.
Premetto che non ho votato per Grillo e che non mi piace ubbidire agli ordini di un capo assoluto. Ritengo che sia irresponsabile e drammatico il cieco rifiuto dei neo-eletti grillini a votare un governo con un programma di svolta come quello che – finalmente, in maniera un po’ trasformista ma molto pragmatica – ha proposto Bersani. Bersani rappresenta la “vecchia politica” ma ha (o aveva visto l’esito sospeso dell’incarico) un buon programma per tentare di uscire dalla crisi profonda e per battere Berlusconi e le prospettive devastanti del governissimo Berlusconi, Renzi, Monti.
Non c’è quindi simpatia pregiudiziale per Grillo: ma la sinistra alternativa deve cominciare a riconoscere la realtà e i suoi peccati mortali. Il Movimento 5 Stelle è il primo partito della classe operaia, dei disoccupati e dei “ceti medi riflessivi”. La mia interpretazione è che il movimento grillino rappresenti il nuovo partito, ancora contraddittorio, dei “lavoratori della conoscenza”: infatti è fortissimo tra i laureati, i diplomati, gli studenti, le partite Iva e chi usa Internet. Comunque è già un partito nazionale, votato al nord, al sud e nel centro Italia del “popolo rosso”. Un capolavoro che la sinistra neppure si immagina. Grillo è un demagogo? Sì, però ci insegna molte cose che la sinistra radicale, uscita tramortita dalle elezioni, non vuole imparare. Il primo insegnamento è che molto spesso per ottenere degli obiettivi non occorre andare al governo ma bisogna fare una buona opposizione. Grillo dall’opposizione è già riuscito (indirettamente) a far eleggere come presidenti di Camera e Senato due degne persone, Laura Boldrini e Piero Grasso, che altrimenti non sarebbero mai stati eletti in quei posti. I tre punti principali del programma di Grillo, reddito di cittadinanza, finanziamenti per le piccole medie aziende, legge anti-corruzione sono chiari e condivisibili da milioni di persone, e per la prima volta il moderato partito democratico – che aveva già votato il fiscal compact e l’austerità antipopolare di Monti – ha dovuto mettere i punti programmatici di Grillo (quasi) al centro della sua agenda. Nonostante che perfino Susanna Camusso sia contro il reddito di cittadinanza. Con l’elezione dei grillini diventa finalmente probabile il blocco della Tav. Chi ha dato del fascista a Grillo oggi deve rincorrere il suo programma e i voti dei suoi parlamentari. Il M5S ottiene quello che Vendola con il suo 15% preso alle primarie e il 3% alle elezioni, neppure si sogna. Non credo che, come afferma Mario Pianta, i movimenti non abbiano saputo riconoscere i loro “giusti” referenti politici (il manifesto, 5 marzo). Penso che, come dice Vittorio Agnoletto (il manifesto 15 marzo), la sinistra che si dice alternativa non abbia saputo incontrare la radicalità, anche culturale, dei nuovi movimenti e riconoscere che nella crisi l’elettorato si polarizza. Grillo è apparso come l’unica alternativa credibile contro un ceto politico autoreferenziale, convergente e collusivo e spesso corrotto, contro l’immiserimento costante e senza linee di resistenza dei ceti medi e delle classi popolari. Grillo è un populista? Certamente! Però il movimento per l’acqua pubblica (che ha alimentato quello di Grillo) ci aveva già insegnato che per vincere bisogna sintonizzarsi sul sentimento popolare anche al di fuori del circuito politico ufficiale, anche contro le posizioni più retrive del Pd. Grillo è riuscito a gridare con forza i propri obiettivi, a manifestare l’opposizione di milioni di famiglie che non sopportano la povertà e la crisi galoppante, e la politica “responsabile” che il centrosinistra ha condotto da venti anni a questa parte tentando di inciuciarsi con la destra.
Sono molti i punti fondamentali di disaccordo con Grillo: lui vuole la democrazia diretta, e questo è giusto – a mio parere è anche indispensabile la democrazia economica come in Germania, dove i rappresentanti eletti dai lavoratori hanno la metà dei posti nei Cda delle aziende -: ma la democrazia diretta non può scassare la democrazia rappresentativa. La decrescita non è la soluzione: la sinistra dovrebbe essere a favore di uno sviluppo sostenibile, equo e solidale, per i beni comuni non privatizzati. La politica deve essere spesata in maniera trasparente dai cittadini e dallo stato, non dalle aziende private. E’ vero che in generale i partiti sono degenerati dopo il tramonto delle ideologie liberali, socialiste e comuniste, e sono diventati delle macchine elettorali e di occupazione delle istituzioni: tuttavia rimangono una forma indispensabile di organizzazione della politica. Non possono essere tutti buttati via. Tra il Pd e il Pdl non c’è solo una elle di differenza. Speriamo che anche il M5S diventi un partito democratico e che sappia assumersi la responsabilità di governare. Se non accadrà milioni di elettori abbandoneranno Grillo, e l’Italia rischierà di andare allo sbando. Tuttavia continuo a pensare che la sinistra abbia molto da imparare dal comico-politico.
Il problema della politica italiana è che tutti corrono nel precipizio della destra. Vendola segue Bersani, Bersani appoggia Monti, Monti vorrebbe allearsi con i berlusconiani senza Berlusconi, e Berlusconi vuole solo salvarsi dai suoi processi ed è pronto a scassare la democrazia cambiando la Costituzione. In questa corsa verso destra, la sinistra alternativa è quasi sparita. Vendola si è subordinato al Pd e attualmente offre solo prova di testimonianza; grazie al Porcellum ha alcuni deputati e senatori, ma cosa farà se Renzi diventerà il candidato premier del centrosinistra? Ingroia (il più vicino a Grillo) ha tentato di consolidare la sinistra radicale, ma il suo tentativo era manifestamente improvvisato e calato bruscamente dall’alto. Al di là delle retoriche di Vendola, e delle brutte liste elettorali di Ingroia, alle elezioni nessun partito della sinistra radicale è stato credibile. Grillo ci dà la sveglia. La realtà è che il centrosinistra ad ogni elezione perde milioni di elettori ma la sinistra alternativa continua a essere culturalmente e politicamente subordinata all’ex partito comunista.
Il Pd è certamente un partito popolare con il quale fare alleanze, ma senza subordinazioni: ha scelto di abbracciare una sorta di “liberismo temperato” e non partecipa neppure al gruppo socialista europeo perché è collocato più a destra. Se andasse a sinistra probabilmente si spaccherebbe. Occorre riconoscere che in Italia non c’è neppure un partito socialista, riformista e radicale. E che Veltroni e Bersani non hanno mai sconfitto Berlusconi, ma entrambi sono riusciti a fare il deserto alla loro sinistra. E così Grillo ha stravinto. In Grecia Syriza ha conquistato il 26% dei voti ed è il secondo partito; in Germania la Linke ha preso l’11% dei voti alle elezioni federali; in Francia il Fronte di Sinistra di Jean-Luc Mélenchon ha preso alle ultime presidenziali l’11% dei voti. In Italia Beppe Grillo ha il 26% e la sinistra radicale qualche punto percentuale. Questi dati non ci dicono nulla?
Ci attendono sfide enormi: c’è da eleggere il nuovo presidente della repubblica; c’è da contrastare il fiscal compact che porterebbe il paese alla bancarotta; c’è da contrastare il possibile accordo su un sistema elettorale ultra-maggioritario accompagnato probabilmente da un presidenzialismo anti-democratico fatto apposta per schiacciare le minoranze. La disoccupazione e la povertà cresceranno. L’elettorato si polarizzerà. La sinistra radicale dovrebbe finalmente dimostrare di avere una classe dirigente unitaria e all’altezza della situazione. Per ora questa classe dirigente non c’è. La sinistra è disunita, in parte troppo istituzionale e compromissiva, in parte troppo “sindacalista” e ideologica. I dirigenti sembrano prime donne pronte ad amplificare le differenze e non i motivi di possibile unità. Dimostrano di essere purtroppo molto lontani dal popolo che vorrebbero rappresentare. Speriamo che la storia non sia finita.
il manifesto 29 marzo 2013

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