La rabbia giovane di un lungo corteo antifascista che non dimentica Dax

La rabbia giovane di un lungo corteo antifascista che non dimentica Dax

di Luce Manara -

Una corona di foglie in via Brioschi. Dove lo hanno ucciso dieci anni fa. La notte del 16 marzo 2003 Davide Cesare, Dax per gli amici, è stato accoltellato da due fascisti spalleggiati dal padre, la famiglia Morbi, col più giovane che aveva appena 17 anni. Poche ore dopo, all’ospedale San Paolo, dove Dax arrivò già morto, i suoi amici disperati si scontrarono duramente con la polizia. Un’altra violenza che ha lasciato il segno. Eppure quella è stata una notte tragica che non si è mai sedimentata nella memoria collettiva di una città che ha sempre respinto ogni violenza fascista coltivando il ricordo di chi non c’è più (domani è il 35esimo anniversario della morte di Fausto e Iaio, per esempio).
Dopo dieci anni cosa è rimasto? Rabbia. Tanta. E disillusione. Perché, almeno qui a Milano, l’uccisione di Dax forse ha chiuso simbolicamente una storia che si era già messa male per la generazione di Genova che aveva appena aperto gli occhi sul mondo (ieri al corteo nazionale per ricordare Dax c’era anche la mamma di Carlo Giuliani). Fine delle illusioni. Forse fine del movimento dei movimenti. Ne è trascorso di tempo, quasi una vita, ma la sensazione è di essere rimasti tutti immobili a guardare le cose, senza poterle più determinare. E la dura realtà, l’urgenza – antifascismo militante o meno – oggi la porta sulle spalle un ragazzo che da solo ha scritto il suo cartello: «Guadagno 700 euro. Ne pago 600 di affitto. Io come vivo?».
Sono i trentenni che ieri si sono ritrovati in tantissimi in piazza XIV Maggio, per un corteo che meritava un’adesione quasi d’istinto, senza stare a spaccare il capello in quattro sulle modalità più o meno brusche di partecipazione, e sulla tensione che ha raggelato per tutta la giornata la zona dei navigli, dove Dax faceva politica prima di essere ammazzato.
Insieme a loro, ma con un incedere meno protagonista, si sono dati appuntamento anche i più stagionati, le solite facce di sinistra che mai si perderebbero una manifestazione antifascista senza se e senza ma, anche a costo di finire in qualche piccolo casino. La sorpresa è che un corteo così non se l’aspettava nessuno: 8 mila persone, numeri d’altri tempi. Molte arrivate da tutta Italia (Bologna, Firenze, Roma), con significative rappresentanze anche da mezza Europa. Dicevamo della rabbia, e ci sarà da riflettere – anche per gli organizzatori, assai eterogenei e moltopoco in armonia tra loro – se la cronaca della giornata poi rischia di esaurirsi in prevedibili e abbastanza inutili scontri con la polizia (davanti al blindatissimo commissariato di via Tabacchi), e con il solito corollario di vetrine assaltate (spesso banche, ma anche una scuola militare e un locale considerato poco friendly). Il tutto, voltando le spalle a una città che tanta rabbia e tanto disagio forse sarebbe anche disposta a condividerli, magari sperimentando linguaggi e forme di partecipazione meno escludenti di quelle messe in scena ieri: «Chi è senza casa scagli la prima pietra», recitava un bellissimo striscione dietro cui non a caso sfilavano decine di cittadini stranieri. A proposito, in zona Corvetto, per chiudere in bellezza, alcuni militanti hanno anche occupato sei appartamenti delle case popolari. Per viverci. Sciolta la tensione, la festa si è tenuta al nuovo spazio Grizzly. Un orso arrabbiato. Ma non per forza cattivo.
il manifesto 17 marzo 2013

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