Trivellazioni, fino all’ultima goccia

Trivellazioni, fino all’ultima goccia

di Tonino Perna – il manifesto

Cre­sce in una parte rile­vante del nostro paese la pre­oc­cu­pa­zione delle popo­la­zioni per le nuove tri­vel­la­zioni petro­li­fere, in terra e in mare, che dall’Emilia Roma­gna arri­vano alla Cala­bria jonica, ormai senza solu­zioni di con­ti­nuità.
Si tri­vella e si avan­zano richie­ste di tri­vel­la­zioni nei siti più peri­co­losi dal punto di vista sismico e rile­vanti sul piano pae­sag­gi­stico. Mal­grado diversi studi geo­lo­gici abbiamo dimo­strato che esi­ste una cor­re­la­zione, in alcune aree sismi­che, tra ter­re­moti e tri­vel­la­zioni, si con­ti­nua a sca­vare e a pro­get­tare nuove tri­vel­la­zioni. Ormai senza più limiti, né sociali, né ambientali.

Come in tutto il mondo: dal Polo Artico ai grandi par­chi natu­rali dell’Africa e dell’America Latina, alle riserve di bio­sfera delle regioni più remote dell’Amazzonia, dovun­que si tri­vella, si buca come un for­mag­gio sviz­zero la terra e si scava in pro­fon­dità nel sot­to­suolo dei mari e degli oceani. Dopo decenni in cui si è detto e scritto, a par­tire dal famoso Report del Club di Roma «I limiti dello svi­luppo» (1970), che le risorse natu­rali sono finite, sem­bra che oggi l’umanità riviva il sogno pro­me­teico della cre­scita infi­nita, del nuovo far west legato alle nuove tec­no­lo­gie di estra­zione degli idro­car­buri. Si era detto, agli inizi di que­sto secolo, che a que­sto ritmo di sfrut­ta­mento le risorse di petro­lio e gas della terra si sareb­bero esau­rite in trenta-quarant’anni. Oggi, que­sta pre­vi­sione viene smen­tita dall’uso della tec­no­lo­gia della fran­tu­ma­zione idrau­lica delle rocce — con l’impiego di cen­ti­naia di sostanze chi­mi­che! — per estrarre gas metano, così come da sistemi di tri­vel­la­zione che sca­vano ancora più in pro­fon­dità nel cuore della madre-terra. E poi, con il disgelo del con­ti­nente artico legato ai cam­bia­menti cli­ma­tici, si apre una nuova, immensa, oppor­tu­nità per estrarre petro­lio e gas nel luogo più incon­ta­mi­nato della terra.

Insomma, saranno pure limi­tate le risorse di idro­car­buri, ma non sap­piamo più quando avremo finito di sco­prire nuove fonti di pro­du­zione. Il modello di svi­luppooil–addict ha così ripreso vigore negli ultimi tre anni, e gli Usa entro il 2016 diven­te­ranno auto­suf­fi­cienti , con la pro­spet­tiva di espor­tare il loro gas metano estratto dalle sab­bie e rocce bitu­mi­nose (shale gas). Tec­no­lo­gia che vor­reb­bero espor­tare in Europa con il fami­ge­rato TTIP, il trat­tato di libero scam­bio Usa-Ue. Non c’è quindi da stu­pirsi se sono crol­lati gli inve­sti­menti nelle tec­no­lo­gie rin­no­va­bili (-18 per cento negli ultimi due anni) in tutto il mondo ad ecce­zione della Cina, men­tre cre­scono quelli dell’industria petrolifera.

Così è adesso chiaro per­ché tutti i governi occi­den­tali stanno tagliando gli incen­tivi alle ener­gie rin­no­va­bili: gli extra­pro­fitti ritor­nano ad essere legati agli idro­car­buri.
Il movi­mento eco­lo­gi­sta è in riti­rata in gran parte del pia­neta, per­ché la crisi eco­no­mica ha dato la prio­rità alla cre­scita ed al debito finan­zia­rio, men­tre il «debito eco­lo­gico» è diven­tato un tabù, anche in que­sta cam­pa­gna elet­to­rale per il Par­la­mento euro­peo (con la sola ecce­zione di qual­che voce den­tro la lista che sostiene Ale­xis Tsi­pras). L’errore di fondo del mondo ambien­ta­li­sta è stato quello di aver sot­to­va­lu­tato la capa­cità del modo di pro­du­zione capi­ta­li­stico di tro­vare nuovi ter­ri­tori e tec­no­lo­gie per sfrut­tare la terra ed il mare fino all’ultima goc­cia di petro­lio. Un movi­mento folle che non si ferma di fronte alla cata­strofe ambien­tale che le tri­vel­la­zioni ed il frac­king delle rocce pro­cu­rano ogni giorno di più. Avremo sem­pre più ter­re­moti, aumen­terà l’impatto del muta­mento cli­ma­tico, nes­sun lembo di terra o di mare si sal­verà se non saremo capaci di fer­mare que­sta corsa verso l’autodistruzione.

Per for­tuna cre­sce il movi­mento No Triv, in Ita­lia ed in gran parte del pia­neta, ma non può essere lasciato da solo ad affron­tare uno scon­tro impari, men­tre tutte le forze poli­ti­che met­tono al primo posto la Cre­scita, come se solo dall’aumento del Pil dipen­desse il nostro benes­sere. Certo che un lavoro digni­toso ed un red­dito decente sono prio­rità, ma vanno otte­nute e con­qui­state con una equa redi­stri­bu­zione del red­dito nazio­nale, con una equa ripar­ti­zione del monte ore di lavoro real­mente neces­sa­rio e con un rispar­mio cre­scente delle risorse natu­rali non riproducibili.

Dob­biamo pren­dere coscienza del fatto che il finan­z­ca­pi­ta­li­smo, secondo la felice espres­sione di Luciano Gal­lino, è un modo di pro­du­zione in cui la com­po­nente distrut­tiva eccede lar­ga­mente quella costrut­tiva, un modello socio-economico in cui il pro­cesso di mer­ci­fi­ca­zione di «terra-lavoro-moneta» è arri­vato al culmine.

È un malato ter­mi­nale a cui con­ti­nuiamo a fare inu­tili tra­sfu­sioni di san­gue, del san­gue della terra (il petro­lio è tale secondo alcune comu­nità native delle Ande) e di quella degli esseri viventi. È arri­vato il tempo di fer­marsi, di non aspet­tare che si arrivi all’ultima goc­cia di petrolio.


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