Fiscal Compact, la rivelazione di Ignazio Visco
Pubblicato il 26 mar 2014
di Roberto Ciccarelli – il manifesto
Austerità. Per la prima volta il governatore della Banca d’Italia ammette i pericoli del patto fiscale europeo. Non servono tagli da 40-50 miliardi di euro, ma una crescita al 3% e più investimenti. La via maestra è la sostenibilità del debito, condizione anche per chiedere “flessibilità” all’Ue. Anche il governatore della Bce Mario Draghi punta su una politica fiscale con meno tasse e più spesa. Ma nel 2014 cresceremo solo dello 0,6%, 1,1 nel 2015
A differenza di quanto sostenuto da alcuni commentatori, per ridurre l’alto debito pubblico dell’Italia non sarebbero necessarie manovre correttive da 40–50 miliardi di euro all’anno, non sarebbe richiesto mantenere un orientamento permanentemente restrittivo alla politica del bilancio». Lo ha detto ieri il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco durante una lectio magistralis all’Almo Collegio Borromeo di Pavia. Sia pure con una formula ipotetica adottata per negare lo tsunami che si abbatterà dal 2016 sulle finanze pubbliche italiane, è la prima volta che un alto esponente del ceto dirigente cita il pericolo incombente su uno dei paesi più indebitati d’Europa con il 132,6% sul Pil. Per evitare questo rischio, ha detto Visco, bisogna puntare sulla crescita vicina al 3% e sugli investimenti, «al tempo stesso fattore di offerta e componente fondamentale della domanda». «La politica monetaria non può da sola garantire la stabilità finanziaria dell’eurozona — ha puntualizzato Visco — se prima non saranno risolti i problemi all’origine della crisi dei debiti sovrani».
La regola sul debito è uno dei più insidiosi imperativi dettati dal «Patto di bilancio europeo», il trattato del «Fiscal Compact» ratificato da 24 dei 25 paesi dell’Unione Europea e approvato in una settimana (tra il 12 e il 19 luglio 2012) dal Senato e poi dalla Camera in Italia. Per rispettare questa regola il governo Renzi dovrà infatti approntare una prima manovra finanziaria per tagliare il debito pubblico di 40–50 miliardi a partire da gennaio 2016.
Secondo gli articoli 3 e 4 del trattato, infatti, il nostro paese dovrà proseguire con i tagli per i prossimi vent’anni, fino al 2036, poiché ha accettato l’obbligo di riportare il debito pubblico al 60% del Pil, riducendolo al ritmo di un ventesimo all’anno (il 5%, pari a 40–50 miliardi di euro, appunto). Un’operazione di «aggiustamento strutturale» di tali proporzioni e conseguenze sulla spesa sociale e sulla convivenza civile che renderà un pallido ricordo le difficoltà attuali.
«La regola sul debito pubblico che sarà applicata all’Italia per la prima volta nel 2016 — ha continuato Visco — richiede una riduzione media annua del suo rapporto rispetto al Pil pari a circa un ventesimo della parte che eccede il limite del 60 per cento». Per rispettarla, «non è necessario ridurre il valore nominale del debito. In condizioni di crescita “normale”, vicina al 3 per cento nominale, sarebbe infatti sufficiente mantenere il pareggio strutturale del bilancio».
Nell’imminenza delle elezioni europee di maggio, quando si prevede l’avanzata delle destre neo-sovraniste e dei populismi «anti-euro» il messaggio di Visco si fa ancora più chiaro quando annuncia la possibilità di «alcuni margini di flessibilità sulla regola del debito». «Le regole concordate in sede europea sono il mezzo, non il fine». Ma per farlo, bisogna garantire la «sostenibilità del debito pubblico, continuando comunque a tagliarlo perché «non lo si può fare crescere indefinitivamente. Lo si può fare se si fanno investimenti e ci sono ritorni».
«Il punto — ha detto Visco — è che noi lo abbiamo fatto crescere per molti anni in assenza di investimenti». Per il banchiere centrale bisogna garantire il pieno accesso al mercato, fondamentali «in un momento in cui i rischi di crisi restano, le tensioni sui mercati si possono riaccendere, mentre «emergono rinnovati segnali di interesse per i mercati italiani, incluso quello per i titoli di Stato». In cambio, l’Italia potrebbe ottenere una «flessibilità» sul Fiscal Compact, così almeno fa intendere Visco.
Ieri, da Parigi, in suo sostegno è intervenuto anche il governatore della Bce Mario Draghi, che ha insistito sulla necessità di proseguire con le «riforme strutturali», una politica fiscale che assicuri i conti, ma anche lo sviluppo attraverso gli investimenti. Una piena consonanza sul ruolo da dare ad una politica fiscale «meno concentrata sull’aumento delle tasse — ha detto Draghi — e più sulle priorità di spesa».
È la strada per ammorbidire l’austerità sulla quale insistono da tempo i banchieri centrali, e non solo. Potrebbe funzionare se tuttavia la crescita fosse ben più alta di quella menzionata da Visco.
Una bozza del «World economic outlook» del Fondo Monetario Internazionale diffuso nelle ultime ore ha confermato che la crescita del Pil italiano sarà dello 0,6% nel 2014. Nel 2015 l’economia dovrebbe avanzare dell’1,1%, ben al di sotto del 3% che permetterebbe di non procedere al taglio del debito, in presenza di un pareggio strutturale del bilancio. Una previsione che non lascia tranquilli, nemmeno il governatore Visco.
Sostieni il Partito con una
Appuntamenti