Gli esclusi d’Europa
Pubblicato il 21 mar 2014
L’Europa di oggi è quella che vincola la «cooperazione con i paesi terzi» alla sottoscrizione di accordi stringenti sul «contrasto dell’immigrazione irregolare» e che con la “direttiva della vergogna” ha stabilito che è possibile rinchiudere nei centri di detenzione i migranti senza documenti colpiti da un provvedimento di espulsione per 18 mesi. È, infine, quella che nella Carta dei diritti fondamentali vieta le espulsioni collettive e le discriminazioni “etniche”, religiose o fondate sulle caratteristiche somatiche, prevedendo il «rispetto delle diversità culturali, religiose e linguistiche». Ma poi lascia che i singoli paesi membri possano negare o restringere l’accesso dei cittadini stranieri (ormai non solo di paesi terzi) ai servizi sanitari, assistenziali e previdenziali.
L’Unione Europea promuove regole comuni per rifiutare, respingere ed espellere i migranti di paesi terzi; disciplina le regole sul soggiorno e sulla circolazione dei migranti regolarmente residenti; ha definito uno status uniforme e procedure comuni in materia di asilo, ma lascia che siano i singoli stati membri a governare l’immigrazione per motivi di lavoro. Nè è prevista alcuna forma di armonizzazione delle politiche di «integrazione», ambito nel quale l’Ue può solo «incentivare e sostenere l’azione dei paesi membri». Così in Germania come in Italia e in Spagna si pongono limiti all’ingresso di lavoratori migranti, salvo poi farne lavorare a migliaia al nero e sottopagati nell’edilizia, nell’industria alimentare, nell’agricoltura o nelle ristrette mura domestiche, per svolgere quei lavori di cura che il sistema di welfare in via di smantellamento non assicura più. E ciò avviene anche nel pieno della crisi. In molti, espulsi dal mercato del lavoro, decidono di tornare nel paese di origine. I più restano.
Non di memoria dunque dovremmo parlare oggi, ma del presente. E l’Europa del presente è quella del rifiuto, della sofisticazione degli strumenti di sorveglianza e di militarizzazione dei mari e delle frontiere grazie al sistema Eurosur e all’agenzia Frontex: 2 miliardi e 496 milioni stanziati tra il 2007 e il 2013 per i due fondi per le frontiere esterne e per i rimpatri, ma solo 1 miliardo e 455 milioni per i fondi per i rifugiati e per «l’integrazione» dei cittadini di paesi terzi.
Nel 2012 i cittadini di paesi terzi stabilmente soggiornanti erano il 4,1% della popolazione europea, 20,7 milioni, ma non parteciperanno alle prossime elezioni europee perché non sono considerati cittadini e sono privi del diritto di voto. Potranno invece candidarsi i rappresentanti di quei movimenti nazionalisti, xenofobi e populisti che vorrebbero cacciarli tutti. Sarebbe un errore lasciare che fossero loro a dettare l’agenda nella prossima campagna elettorale.
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