Liberazione cessa le pubblicazioni. Interventi di Ferrero, Velchi e Greco

Liberazione cessa le pubblicazioni. Interventi di Ferrero, Velchi e Greco

Dal giorno 19 marzo il sito di Liberazione non verrà più aggiornato: la società editrice cessa l’attività. Di seguito gli interventi del segretario del Prc Paolo Ferrero, del direttore Romina Velchi e del direttore editoriale Dino Greco.

Il comunicato di Paolo Ferrero (19 marzo 2014)

Da oggi Liberazione cessa le pubblicazioni. Si tratta di una decisione triste perché Liberazione, prima settimanale, poi quotidiana, poi, dopo un periodo di sospensione delle pubblicazioni, on-line, è il giornale del nostro partito da oltre un ventennio. La storia di Liberazione e la storia di Rifondazione Comunista sono state – nel bene e nel male – intrecciate in modo indissolubile. Oggi dobbiamo sciogliere questo legame con la chiusura di Liberazione perché il deficit del giornale rischia di soffocare il partito, che non ha i soldi per coprire ulteriormente i buchi di bilancio. Si tratta di una scelta obbligata: se non chiudessimo il giornale dovremo a breve chiudere anche il partito. Abbiamo cercato in questi anni di trovare i modi e le forme attraverso cui rendere il giornale autosufficiente ma non ci siamo riusciti e adesso dobbiamo prenderne atto prima che sia troppo tardi. Prendere atto di questa situazione è necessario per evitare danni maggiori. In questo contesto voglio fare 4 ringraziamenti e assumere un impegno. Il primo ringraziamento è a Dino Greco. Ha accettato di cambiare radicalmente la sua vita venendo a Roma a dirigere Liberazione e abbandonando la sua esperienza da sindacalista. Non si è trattato per Dino di una scelta facile né indolore ed è stato un grande gesto disinteressato che Dino ha fatto nei confronti del partito e del giornale dopo la disastrosa direzione di Piero Sansonetti. Dino ha diretto il giornale in anni difficilissimi ed ha continuato a scrivere su Liberazione anche dopo essere andato in pensione, con una passione ed un impegno che parlano da soli. Il secondo ringraziamento è a Romina Velchi. La storia di Romina è diversa: giornalista di Liberazione sin dall’inizio, ha accettato di fare la vicedirettrice prima e la direttrice da ultimo, in puro spirito di servizio e militanza. Quando Romina ha preso la direzione del giornale sapeva che le possibilità di continuare ad uscire erano molto basse ma lo ha fatto lo stesso. Non è facile trovare compagni e compagne come Romina disposti a “metterci la faccia” in una impresa che si sa difficilmente sarà coronata dal successo. Il terzo ringraziamento è a quel gruppo di giornalisti – una piccola parte sul complesso dei giornalisti – che in questi anni hanno portato avanti concretamente il giornale e che lo hanno difeso dagli attacchi esterni ed interni. Si tratta di compagni e compagne che hanno interpretato il loro ruolo di giornalisti con quel senso di militanza e con quella deontologia professionale che ci hanno permesso di arrivare sin qui. Da ultimo – ma non meno importante – voglio ringraziare i compagni e le compagne che hanno in questi anni acquistato e sostenuto Liberazione ed in particolare a chi lo ha sostenuto in quest’ultimo periodo. Chiudiamo avendo un migliaio di abbonamenti e un certo flusso di sottoscrizioni. Voglio ringraziare questi compagni e compagne perché so quanto vale questo sostegno. So quanto costa tirare fuori 50 o 100 euro – oltre a quelli della tessera, a quelli per pagare l’affitto del circolo, alla benzina non rimborsata – per sostenere il giornale, il nostro giornale, la stampa comunista, come si diceva una volta. Non siamo nelle condizioni di rimborsare gli abbonamenti, possiamo solo dire di averli usati tutti, fino all’ultimo centesimo, per fare quella battaglia politico culturale a cui tutti teniamo. Dopo i ringraziamenti l’impegno. L’impegno è a decidere entro l’estate le forme di informazione, comunicazione e riflessione, a cui deve dar vita Rifondazione Comunista, per perseguire efficacemente il proprio disegno politico. Dopo le elezioni europee, qualsiasi sia il risultato, dovremo definire con maggiore precisione il ruolo e il progetto politico del nostro partito e – in questo contesto – degli strumenti informativi di cui ci dovremo dotare. Voglio dire subito con chiarezza che non è questo un impegno a riaprire Liberazione. Faremo di tutto ovviamente per salvare la testata ma non vi sono oggi le condizioni finanziarie e non vi saranno domani per riaprire un giornale basato sul lavoro di giornalisti professionisti. Dovremo inventare forme nuove che segnino una discontinuità con il passato. Una cosa voglio sottolineare infine. Abbiamo detto che la storia di Liberazione e del Partito della Rifondazione Comunista sono strettamente intrecciate. Qualcuno voleva chiudere Liberazione per cercare di chiudere anche Rifondazione. In questi anni di nemici ce ne siamo fatti tanti. Con la decisione che da oggi è operativa, noi facciamo l’esatto contrario: ci priviamo di Liberazione – che non siamo più in grado di sostenere finanziariamente – proprio per permettere a Rifondazione Comunista di proseguire e di battersi per l’affermazione del socialismo, della libertà e della giustizia. La chiusura di Liberazione non è la fine del nostro progetto politico. E’ una scelta dolorosa affinché il progetto politico da cui Liberazione era nata possa continuare a vivere.

di Paolo Ferrero

Il comunicato della Mrc (19 marzo 2014)

Dal 19 marzo 2014 la MRC Spa cessa la pubblicazione di “Liberazione”. Siamo arrivati a questa obbligata decisione dopo una serie di passaggi: 1) A partire dal mese di gennaio 2012 la MRC Spa, a seguito del grave deteriorarsi della situazione economica e finanziaria societaria, in relazione alla crisi del settore ed alla consistente riduzione (taglio) delle provvidenze pubbliche all’editoria, aveva sospeso temporaneamente le pubblicazioni cartacee della testata Liberazione sviluppando nel contempo un programma di interventi contenente le azioni necessarie al risanamento aziendale ed alla ripresa dell’attività editoriale; 2) Con riferimento alle conseguenti ricadute occupazionali, con l’accordo stipulato presso la Regione Lazio in data 27 marzo 2012, il Ministero del Lavoro aveva riconosciuto la causale di crisi aziendale ai sensi dell’art. 35 della legge n. 416/1981 e successive modificazioni e integrazioni a favore della Società, autorizzando il ricorso agli ammortizzatori sociali di settore, attraverso la collocazione in cigs di tutti i dipendenti, per un periodo di 24 mesi dal 19 marzo 2012 al 18 marzo 2014; 3) Nel gennaio 2013 la Società ha ripreso le pubblicazioni del quotidiano Liberazione nella sola modalità telematica. A seguito dell’ulteriore peggioramento delle condizioni economiche aziendali, la Società ha dovuto successivamente ridurre la nuova iniziativa editoriale che a partire dal mese di novembre 2013, è stata realizzata con l’impiego del solo Direttore Responsabile e di un lavoratore poligrafico. 4) Nonostante le azioni intraprese, non si sono raggiunti gli obiettivi necessari per il mantenimento e rilancio delle attività: occorrevano 3.000 abbonamenti (siamo a circa 1.200) ed una liquidità che né MRC Spa né il PRC possono garantire. Per queste ragioni, le attività di MRC e la pubblicazione di Liberazione, cessano a partire da oggi, 19/03/2014. Per evitare soluzioni traumatiche, è stato sottoscritto un accordo (che deve essere completato tra tutte le componenti coinvolte) con le parti sindacali per il ricorso agli ammortizzatori sociali di settore sulla base del riconoscimento della causale di cessazione di attività, attraverso il ricorso alla cigs a partire dal 19/3/2014 e per la durata di 24 mesi fino al 18/3/2016, per tutto il personale. Questa è la situazione ad oggi. Un particolare ringraziamento a tutti coloro che hanno sostenuto la nostra attività: gli abbonati, i Direttori, i lavoratori giornalisti e poligrafici.

di Mrc Spa

Il comunicato del direttore Romina Velchi (19 marzo 2014)

Care lettrici, cari lettori, ho sperato fino all’ultimo di non dover scrivere queste righe. L’ho sperato perché ritenevo (e ritengo) che un partito comunista, che tra i suoi compiti ha quello della formazione di una coscienza di classe, non possa fare a meno di uno strumento di comunicazione/informazione non solo come veicolo per la diffusione di idee e programmi, ma anche come mezzo per lo sviluppo della stessa attività politica. Ora che la parola fine è stata messa nero su bianco, sembra che non resti altro da fare che prenderne atto. Si poteva evitare questo epilogo? Forse no. Ci si poteva arrivare in un altro modo? Certamente sì. Conosciamo, e non da oggi, la straordinaria e drammatica condizione economica in cui si dibatte il nostro partito e, di conseguenza, la società editrice di Liberazione. E conosciamo le importanti risorse finanziarie che il Prc ha impiegato negli anni passati per salvare il giornale, ridurre i debiti e non far fallire la Mrc, pur in una condizione generale di crisi. Conosciamo tutto questo talmente bene che non ci siamo mai tirati indietro quando si è trattato di fare sforzi, personali e collettivi, per tenere in vita il giornale che, vale forse la pena ricordarlo, accompagna la storia del Prc da oltre vent’anni. Con caparbietà abbiamo messo in campo tutte le iniziative possibili, specie dopo la fine delle pubblicazioni del giornale cartaceo (ormai nel lontano dicembre 2011) sempre e solo con l’intento di essere utili prima di tutto al partito, pur nella dimensione sempre più ridotta in termini di risorse umane e finanziarie. Uno sforzo che il più delle volte è sembrato cadere nel vuoto e nel disinteresse, non tanto del corpo militante del partito, quanto dei suoi dirigenti. Eppure non ci siamo scoraggiati: prima con un sito web “clandestino” (il settimanale Ombrerosse, ospitato su Controlacrisi), poi con Liberazione.it, sempre rispettando lealmente le decisioni assunte dal Prc. Una cosa sola chiedevamo in cambio: l’impegno del partito a non disperdere questo lavoro e a dare una prospettiva politica a questo sforzo. Questo impegno, oggettivamente, non c’è stato. Non solo in termini di abbonamenti (che pure erano di vitale importanza, come si vede), ma soprattutto di costruzione di un percorso che permettesse di non arrivare alla morte più o meno annunciata di Liberazione circondati dal vuoto assoluto: vuoto di proposte; vuoto di progetti; vuoto di programmazione. Che idea ha il partito della propria comunicazione? Di che strumenti ha bisogno? Di un sito? Di due? Di tre? Di nessuno? L’attuale proliferare di pagine web è fonte di ricchezza o di confusione? Serve un house organ oppure no? E in che forme? Gratuito? A pagamento? Basta una rassegna stampa? Si noti che di tempo ce n’è stato per affrontare questi temi, ma ogni volta c’era qualcosa di più urgente. Fino ad arrivare all’inesorabile. Nessuno di noi ha mai pensato, nelle condizioni date, di riproporre “una vecchia” Liberazione, se non altro perché le forme stesse della comunicazione sono radicalmente cambiate da quando, nel 1996, Liberazione settimanale divenne quotidiano, nell’entusiasmo generale. Non è questo il punto. Sul tavolo esiste un ampio ventaglio di proposte e altre ancora se ne possono avanzare. Così come non è in discussione la gravità della situazione finanziaria. Si chiedeva (e si chiede) di manifestare una volontà; di mostrare coerenza tra le cose che si dicono e quelle che si fanno. Insomma, di mettere in campo un percorso che ci permettesse di guardare avanti, di superare la difficilissima fase in cui ci troviamo, come giornale e come partito, creando le basi per un rilancio organizzativo di tutto il comparto della nostra comunicazione politica. Invece, arriviamo ad un traguardo oltre il quale non c’è nulla, tranne la chiara volontà di chiudere Liberazione per salvare il partito. Come se le due cose non stessero insieme. Come se, al contrario, la chiusura della testata storica del partito non rischi di essere un colpo mortale al partito stesso, per di più alla vigilia di un passaggio cruciale come quello delle elezioni europee. C’è stata, a nostro avviso, una sottovalutazione grave della dimensione politica della questione, lasciando che la discussione vertesse solo sulla dimensione economica. Che, infatti, lascia completamente aperto l’interrogativo sul “che fare ora”, cui può dare una risposta solo un chiaro progetto politico. Ai lettori, agli abbonati va il nostro ringraziamento: ci hanno sostenuto, gratificato, criticato, sollecitato. E le nostre scuse per non sapere “cosa dire”, per non sapere indicare se e quando saremo mai in grado di tornare ad essere la voce del Partito della Rifondazione comunista; la voce dei comunisti.

di Romina Velchi

No, caro Paolo, così non va – di Dino Greco (19 marzo 2014)

Caro Paolo, ho letto il tuo “de profundis” per Liberazione, un costernato addio per la chiusura definitiva, “per l’oggi e per il domani” del nostro giornale, un atto che definisci doloroso ma necessario “affinché il partito viva” e non venga coinvolto/travolto da una altrimenti inevitabile catastrofe finanziaria. Nella tua ricostruzione dello stato delle cose vi sono molte, troppe inesattezze, reticenze, omissioni che alterano il quadro nel quale ci troviamo e tendono a suggerire l’inesorabilità della scelta che si va compiendo, anzi, che è stata già compiuta senza averne voluto (dico voluto) preventivamente discutere, in nessun organismo dirigente se non per annunciarne la “ferale” notizia, a babbo morto e sepolto, nel corso di una segreteria trasformata per l’occasione in camera ardente. Con buona pace dei deliberati congressuali e dell’impegno ad istruire un confronto serio sull’argomento. Comincio con la questione principale. Non è vero che le alternative si giocassero sui due corni: continuare così (e soccombere sommersi dai debiti) oppure cessare l’attività. Che fosse necessario aprire la procedura di liquidazione della Mrc, mutare in tal senso la causale della nuova richiesta di cassa integrazione, evitare l’accumulo di ulteriori passività, oneri diretti e indiretti erano cose acclarate e condivise. Il tema aperto, su cui nulla è stato pensato, esplorato, men che meno tentato, riguardava come costruire un percorso parallelo, non più incardinato sull’attuale assetto giuridico-contrattuale, ma su una cooperativa di compagni/e, giornalisti e non, a cui cedere in affitto o in comodato gratuito la testata per continuare a far vivere Liberazione come giornale “del” partito, “per” il partito. Questa ipotesi, certo da approfondire in ogni risvolto e implicazione, trovava il consenso dei compagni che avevano anche verificato la disponibilità di Banca etica ad affiancarne finanziariamente l’impresa (sarebbero bastate poche decine di migliaia di euro) purché fosse sostenuta da un credibile progetto editoriale e da un impegno del partito a garantire un pacchetto di abbonamenti. In altri termini la Banca (che, benché “etica”, banca pur sempre resta, e dunque certo non avvezza ad opere di filantropismo) aveva tuttavia capito una cosa semplice e cioè che le nostre idee hanno comunque un mercato e che forse non sarebbe un azzardo aiutarne il decollo. Ci credessimo anche noi! Invece qui casca l’asino. Il fatto è che il partito, o più precisamente, il suo gruppo dirigente, non ha mai creduto in Liberazione. Se vi avesse investito noi oggi avremmo un numero ben maggiore dei 1200 abbonamenti, tutti autoprodotti attraverso l’iniziativa di un paio di giornalisti. Perché non un solo abbonamento è stato portato al giornale dai componenti della segreteria nell’arco di oltre due anni. Lungo tutto il 2012, a giornale cartaceo sospeso, cinque compagni/e in cassa integrazione, al fine di evitare lo stallo totale nell’informazione, si inventarono il settimanale on line “Ombre rosse”, del tutto volontario e a costo zero. E chiesero che quel tempo fosse riempito da una campagna di pre-abbonamenti, necessaria per generare le risorse indispensabili al rilancio di un’iniziativa editoriale futura, tendenzialmente autosufficiente. Come sai, non successe nulla. Non riuscimmo neppure ad ottenere che il partito comunicasse ai propri iscritti l’esistenza del settimanale! Il responsabile della comunicazione non volle saperne per ragioni mai chiarite, o mai apertamente dichiarate, e nessuno si preoccupò di chiedergliene conto. Quando la segreteria giunse, nel dicembre del 2012, a decidere l’apertura del quotidiano on line con tre giornalisti, la nuova avventura iniziò senza un solo abbonamento. Si dovette ricominciare da capo, con un sistema editoriale del tutto nuovo, riannodando, per quanto possibile, collaborazioni e rapporti. Per garantire alla Mrc le residue provvidenze economiche stanziate dal fondo per l’editoria abbiamo lavorato 7 giorni su 7, senza mai fermarci, anche a traguardo raggiunto, anche quando a lavorare siamo rimasti in due soli, per fidelizzare i nostri lettori, per alimentare il rapporto con le strutture territoriali del partito che hanno via via imparato ad usare il giornale, il “loro” giornale, e per guardare con ragionevole ottimismo al futuro. Gli abbonamenti hanno spontaneamente cominciato ad arrivare: 2, 3, fino a 4, 5 al giorno. Gli ultimi due ieri…a partita chiusa. Ma neppure in questo periodo si è mossa foglia. Chiedo: in quante delle centinaia di riunioni tenute in ogni parte d’Italia ci si è ricordati di porre il tema di Liberazione, della stampa comunista, di chiedere ai nostri iscritti di abbonarsi? So di non sbagliare: in nessuna. Ebbene, non si può non alzare un dito per fare gli abbonamenti per poi concludere che bisogna chiudere la baracca perché non ci sono gli abbonamenti. Allora veniamo in chiaro. E proviamo a non nascondere la verità – ai nostri iscritti e, prima ancora, a noi stessi -, proviamo a non compiere questo estremo atto di autolesionismo. Alla base c’è la tesi non dichiarata che un giornale del Prc non serve. Meglio farsi saltuariamente ospitare da qualche altro contenitore, magari assai lontano da noi, ma più letto e quindi di più immediata risonanza; meglio andare a rimorchio, secondo un vecchio riflesso gregario, compilando rassegne stampa nelle quali noi appariamo secondo le opinioni che gli altri hanno di noi; meglio “twittare” ad ogni stormir di foglia, nell’illusione di lasciare traccia su menti addomesticate ad una politica ridotta ad impressionismo sloganistico; meglio coltivare blog personali, più rivolti alla lotta politica interna che non ad una vera comunicazione. L’idea di un giornale che contribuisce a formare e trasmettere la tua identità, a produrre cultura politica e a favorire la costruzione del partito e della sua iniziativa è abbondantemente latitante. Eppure, se si prestasse ascolto alla domanda che viene dalla parte ancora vitale di questo partito ci si accorgerebbe di quanto questo pane sia necessario. Infine. Tu concludi il comunicato con una frase la cui enormità non riesco a digerire: “La chiusura di Liberazione – scrivi – è una scelta compiuta per permettere a Rifondazione comunista di continuare a battersi per l’affermazione del socialismo, della libertà e della giustizia”. No, Paolo, per niente. Dalla chiusura del giornale non verrà alcun impulso al “progetto politico” del partito, ma soltanto un ulteriore oscuramento della nostra già scarsa visibilità e il disincanto dei nostri militanti più attivi.

di Dino Greco

La risposta di Ferrero (19 marzo 2014)

Caro Dino, ho letto il tuo pezzo che critica il mio e mi pare corretto risponderti:

1) Penso che nessuno abbia nulla in contrario a far si che un gruppo di giornalisti possa fare una cooperativa per far uscire Liberazione. Io personalmente sono favorevole a questa ipotesi. Come ti è noto questo sarà possibile unicamente dopo che la società MRC potrà cedere la testata e quindi dopo che sarà cominciato il processo di liquidazione della società. Il passo di oggi – la fine delle pubblicazioni e l’inizio del processo di liquidazione di MRC – è quindi propedeutico a qualunque decisione relativa all’utilizzo futuro della testata. Non capisco perché bisogna polemizzare su un passaggio obbligatorio come se la liquidazione di oggi impedisse la cosa che tu proponi.

2) Tu dici che il gruppo dirigente di Rifondazione non ha voluto tenere in piedi Liberazione. Ovviamente si poteva fare di più e non discuto ovviamente del comportamento di questo o quel dirigente ma ti faccio notare che il commento è forse un po’ ingeneroso. A parte chi rischia quotidianamente di finire in galera a causa dei debiti di Liberazione, la spesa per Liberazione in questi anni è stata di gran lunga la spesa maggiore che il partito ha fatto: siamo a ben oltre i 10 milioni di euro, una cifra colossale che deve far riflettere. Rifondazione Comunista si è mangiata una bella fetta del proprio patrimonio per tenere in piedi Liberazione e se continuavamo ulteriormente questo ci portava a sicuro fallimento sul piano finanziario. Nella vita capita di perdere pur avendo buone ragioni e la battaglia per tenere aperta Liberazione – che pensavo fosse stata condotta in comune – l’abbiamo persa.

3) Sono d’accordo con te che «alla chiusura del giornale non verrà alcun impulso al “progetto politico” del partito, ma soltanto un ulteriore oscuramento della nostra già scarsa visibilità». Infatti non ho mai sostenuto il contrario e penso che dobbiamo ragionare a fondo sugli strumenti informativi a basso costo di cui Rifondazione deve dotarsi. Dovevamo farlo prima? In parte lo abbiamo fatto ma senza trovare evidentemente risposte risolutive: in questi anni abbiamo discusso di Liberazione in segreteria più che di qualsiasi altro argomento. Detto questo se vi sono buone proposte che emergano, in modo da poterle realizzare rapidamente. Il punto che io sostengo con forza è che purtroppo non abbiamo le risorse per continuare a far vivere Liberazione realizzata da giornalisti professionisti. La Liberazione che abbiamo conosciuto, con quei costi per il personale è incompatibile con la sopravvivenza di Rifondazione Comunista e con la capacità di autofinanziamento del nostro partito. Ogni iniziativa di Rifondazione Comunista – che sia sull’informazione o su qualsiasi altro settore – deve e dovrà sempre più fare il conto con la questione dei soldi. Ne sono così convinto che sono tornato a lavorare in Regione Piemonte, non per divertimento, ma perché non abbiamo letteralmente un euro.

di Paolo Ferrero


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