«Mercoledì taglio le tasse». Ma a chi?
Pubblicato il 10 mar 2014
liberazione.it
Facile fare promesse; più difficile mantenerle. Specie se il tuo ministro dell’Economia non è proprio convinto delle tue decisioni; se hai pochi soldi da utilizzare; e se l’Unione europea ti mette veti continui. E’ un po’ questa, in sintesi, la situazione in cui si trova Renzi alla vigilia del “mercoledì da leoni”, quello, cioè, in cui il consiglio dei ministri si appresta a varare la «riduzione fiscale senza precedenti» (parole, speriamo per lui non avventate, di Angelino Alfano).
Ospite ieri sera in televisione da Fabio Fazio, il premier assicura che l’impegno del governo è «a favore delle famiglie», che le tasse saranno tagliate per la prima volta e dunque sono «imbarazzanti» polemiche e «derby da stadio» (tra chi vuole che il taglio vada tutto alle imprese – Confindustria – e chi tutto ai lavoratori – i sindacati), ma di misure concrete non c’è neanche l’ombra, come ormai Renzi ci ha abituati. Così come si guarda bene dal fare pubblicamente e davanti a milioni di telespettatori la propria scelta tra Irap e Irpef. Svicola, insomma, sapendo che su questo tema il governo è diviso. Dice solo che dei 10 miliardi a disposizione, distribuirne 5 a favore delle aziende e 5 a favore dei lavoratori non funzionerebbe, come «non ha funzionato» in passato. Dunque? Ai posteri l’ardua sentenza. Per ora ci basti sapere che abbassare le imposte alle imprese «è una cosa che cercheremo comunque di fare», tentando allo stesso tempo di dare a chi guadagna 1.500 euro al mese «e non ce la fa», «qualche decina di euro in più al mese», in modo che «quei 100 euro possano essere rimessi in circolo, per andare a mangiare una pizza o comprare un astuccio nuovo», dando una spinta in questo caso ai consumi delle famiglie per spingere l’economia. Il tutto vago quanto basta per poter fare tutto e il suo contrario.
Almeno fino a mercoledì il dilemma degli ultimi giorni tra Irap e Irpef è dunque destinato a rimanere insoluto. Anche perché è dentro il governo che manca la sintesi. Mentre, infatti, Renzi lascia intendere di preferire il taglio dell’Irpef, al ministero dell’Economia puntano invece sull’Irap. Lo dice chiaro il viceministro dell’Economia Enrico Morando, che in due interviste, una su l’Unità e una sul Messaggero, tenta una mediazione riproponendo i due tempi, dove il primo tempo, ovviamente, è per le imprese. Al quotidiano romano Morando spiega che «l’intervento che vogliamo varare sarà forte e pluriennale», val e a dire «10 miliardi l’anno che saranno ripetuti, dopo il 2014, nel 2015 e 2016». Trenta miliardi, dunque, da tagliare a rotazione: «Niente mezze misure nel 2014 o tutto sull’Irap o tutto sull’Irpef. L’anno prossimo il contrario». In ogni caso «io preferirei tagliare l’Irap, per l’esattezza eliminerei il costo totale delle buste paga dall’imponibile Irap». Comunque, avverte invece sull’Unità il sottosegretario, sarà Matteo Renzi alla fine a «decidere quale sarà la priorità».
Sarà forse per questo, cioè per non essere ancora in grado di sciogliere questo nodo, che il presidente del consiglio si mostra nervoso con le parti sociali, che lo incalzano con forza pari e contraria: «Trovo abbastanza imbarazzante che per anni si sono aumentate le tasse ed ora che si stanno abbassando sono iniziate le polemiche “le abbassi agli altri e non a me”. Non dobbiamo pensare a un derby Confindustria-sindacati». Piuttosto, suggerisce il premier, «verrebbe da chiedergli, che avete fatto negli ultimi 20 anni per cambiare l’Italia?» (che è un altro modo per svicolare). Quindi se Confindustria e sindacati si schiereranno contro il governo, anche sulle misure sul lavoro e il sussidio di disoccupazione, «ce ne faremo una ragione», assicura il premier, scatenando però la replica piccata del segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, che tiene a mantenere le distanze dalla Cgil di Susanna Camusso: «Renzi non faccia l’errore di fare di tutta un’erba un fascio. Ci sono sindacati e sindacati, come ci sono politici e politici. Tolga i paraocchi».
Ma è con la Cgil che i rapporti sono tesi: non solo con il segretario Camusso, ma con tutto il direttivo di Corso d’Italia: se il governo non darà le risposte necessarie per affrontare l’emergenza occupazione e far fronte alle esigenze dei lavoratori, il sindacato è pronto alla mobilitazione e non esclude anche il ricorso all’arma dello sciopero.
I guai per Renzi vengono soprattutto dall’Europa. Domani il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, farà il suo esordio all’Eurogruppo, mettendo soprattutto l’accento sulla crescita, unica strada per riassestare anche i conti pubblici. Per il premier la regola del 3% sul deficit/Pil è «una norma concettualmente antiquata ormai», ma l’Italia la rispetterà «finché non sarà cambiata» e non sarà Roma a cambiare le regole «in modo unilaterale». E allora?
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