Un problema di risorse o di politica economica?

Un problema di risorse o di politica economica?

di Roberto Romano -

Discu­tere delle coper­ture finan­zia­rie delle pro­po­ste del governo Renzi, doman­dan­dosi da dove recu­pe­rerà le risorse, non aiuta la discus­sione. Il vin­colo finan­zia­rio è un pro­blema che dovrà essere discusso indi­pen­den­te­mente dalle poli­ti­che adot­tate. Anche le poli­ti­che di sini­stra dovreb­bero rispon­dere a que­sto vin­colo. Alcuni cal­coli sull’incidenza finan­zia­ria dei prov­ve­di­menti (imma­gi­nati) dal nuovo governo sono state fatte. Le stime pas­sano da 100 a 120 mld di euro. Solo per dare conto delle voci più impor­tanti, ricordo l’obbiettivo di retro­ce­dere 60 mld di euro di debiti pub­blici verso i pri­vati, i 10 mld di ridu­zione del cuneo fiscale. Natu­ral­mente non manca mai l’arma letale della spen­ding review, la quale dovrebbe rea­liz­zare risparmi di spesa non infe­riori a 30 mld. La spen­ding review è diven­tata il ban­co­mat della pub­blica ammi­ni­stra­zione. Perotti ( Il sole 24 ore , 27 feb­braio), con­si­gliere di Renzi, trova financo le risorse per finan­ziare la ridu­zione del cuneo fiscale: invece di uti­liz­zare i fondi euro­pei per indu­stria­liz­zare la ricerca, sostan­zial­mente è que­sto l’obiettivo comu­ni­ta­rio, uti­liz­ziamo quelle risorse, tra i 6 e gli 8 mld, per ridurre il cuneo fiscale. Le poli­ti­che euro­pee hanno tanti difetti, ma tra l’industrializzazione delle ricerca e la ridu­zione del cuneo fiscale sap­piamo cosa è più utile all’Italia.
Quindi discuto le poli­ti­che di Renzi: inu­tili, dan­nose, inef­fi­caci per la sem­plice ragione che Renzi non cono­sce il pro­blema di strut­tura del Paese.
Qual­che volta met­tersi nei panni di chi deve risol­vere i pro­blemi aiuta. Devi sce­gliere un approc­cio e sulla base dello stesso strut­turi le policy. Infatti, la crisi eco­no­mica inter­ve­nuta nel 2007 ha ripro­po­sto dei temi che sem­bra­vano usciti dal dibat­tito poli­tico ed eco­no­mico. Le domande sulla soste­ni­bi­lità dello stato sociale e sulla “libertà da”, da inten­dersi come libertà dal biso­gno, sono emerse in tutta la loro dram­ma­ti­cità. Si affac­ciano nuove figure di lavoro, nuove povertà e nuove inquie­tu­dini.
In que­sti casi è oppor­tuno ripren­dere le moti­va­zioni dello stato sociale e delle poli­ti­che pub­bli­che neces­sa­rie. Lo sra­di­ca­mento della povertà e la libertà dal biso­gno sono il tratto costi­tu­tivo delle eco­no­mie indu­stria­liz­zate. Ripren­dendo Wil­liam Beve­ridge (1942–1945), lo Stato deve assol­vere a tre com­piti spe­ci­fici. Il primo è legato alla neces­sità di intro­durre un sistema pre­vi­den­ziale uni­fi­cato e obbli­ga­to­rio per tutti i cit­ta­dini, capace di coprire i periodi di inter­ru­zione o per­dita della capa­cità di gua­da­gno; il secondo inte­ressa l’organizzazione di un sistema coe­rente e arti­co­lato di ser­vizi sani­tari, gra­tuiti e aperto a tutti, pen­sati anche in un ottica di moni­to­rag­gio e pre­ven­zione delle malat­tie; il terzo è l’infrastruttura dello stato sociale, ovvero la rea­liz­za­zione della piena occu­pa­zione che è intesa come requi­sito indi­spen­sa­bile per poter met­tere in atto e far cam­mi­nare cor­ret­ta­mente il “piano di pro­te­zione sociale”. Restando alla let­tera dei prin­cipi costi­tu­tivi dello stato sociale, la piena occu­pa­zione è l’alfa e l’omega della poli­tica eco­no­mica.
L’arretramento del Pil, la ridu­zione degli occu­pati a la con­se­guente cre­scita della disoc­cu­pa­zione, la pola­riz­za­zione del red­dito, che è una delle cause del con­so­li­da­mento della povertà, hanno eroso quel senso comune del ben-essere. È soprat­tutto nelle regioni-paesi indu­stria­liz­zate che non hanno fatto poli­tica eco­no­mica e indu­striale che il feno­meno diventa mani­fe­sto. Se il lavoro è parte inte­grante dello stato sociale e della società nel suo insieme, la per­dita del lavoro assume con­torni sociali e psi­co­lo­gici dram­ma­tici. C’è una grande dif­fe­renza tra uscire dalla povertà in un paese povero, ed entrare nella povertà dopo che si è con­se­guito uno sta­tus sociale in un paese indu­stria­liz­zato. Cam­bia il segno e la natura della povertà. In altre parole si è arre­stato l’ascensore sociale. Meglio ancora, l’ascensore sociale ha comin­ciato a fun­zio­nare al con­tra­rio. Dare conto del per­ché e del come è un pas­sag­gio fon­da­men­tale.
La povertà ha diverse decli­na­zioni: cul­tu­rale, gene­ra­zio­nale, scien­ti­fica, red­di­tuale o di accesso a deter­mi­nate cate­go­rie di beni e ser­vizi. La pub­bli­ci­stica eco­no­mica com­bina due aspetti: 1) il red­dito dispo­ni­bile suf­fi­ciente per 2) acce­dere a deter­mi­nati beni e ser­vizi. Con una avver­tenza: il red­dito e la dispo­ni­bi­lità di beni e ser­vizi sono con­di­zio­nati dalle varia­bili macroe­co­no­mi­che, dalla dispo­ni­bi­lità di lavoro e da un red­dito coe­rente con la pro­dut­ti­vità dei fat­tori.
Senza esa­cer­bare le infor­ma­zioni di cui sopra, è appena il caso di ricor­dare la man­cata cre­scita del PIL ita­liano rispetto alla media euro­pea è di quasi 17 punti (2004–2013). Que­sta man­cata cre­scita ha com­pro­messo il così detto ascen­sore sociale. In effetti, con la crisi del 2007 sono venuti meno alcuni tratti carat­te­ri­stici dello stato sociale beve­rid­ge­riano. Da un lato gli alti inve­sti­menti delle imprese ita­liane, in linea con quello delle imprese euro­pee, non ha pro­dotto il mol­ti­pli­ca­tore coe­rente, dall’altro lato è stata com­pro­messa la strut­tura pro­dut­tiva che domanda lavoro. Infatti il tasso di disoc­cu­pa­zione reale dell’Italia, tra il 2004–2013, cre­sce del 31%.
A mio parere il nodo che il paese deve affron­tare è quello della piena occu­pa­zione nel senso di una ade­guata poli­tica eco­no­mica e indu­striale. A me non sem­bra che Renzi abbia for­mu­lato una qual­siasi pro­po­sta sul tema.


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