La svolta socialdemocratica, così Hollande si arrende alla Ue

La svolta socialdemocratica, così Hollande si arrende alla Ue

di Anna Maria Merlo – il manifesto

Hol­lande ha annun­ciato una svolta «social­de­mo­cra­tica», che nella neo­lin­gua poli­tica signi­fica che si è deciso a pie­garsi alle regole del risa­na­mento dei conti pub­blici impo­ste a tutti i paesi Ue, abban­do­nando la pro­messa ini­ziale di «ridi­scu­tere» i Trat­tati euro­pei. Alle imprese è stato offerto un “Patto di respon­sa­bi­lità” fatto di sgravi dei con­tri­buti che com­ples­si­va­mente arri­ve­ranno fino a 50 miliardi di euro, che dovranno venire com­pen­sati non più da aumenti delle tasse ma da tagli alla spesa pub­blica. In cam­bio, il governo ha chie­sto molto timi­da­mente delle «con­tro­par­tite» in ter­mini di occu­pa­zione. Ma il padro­nato ha rispo­sto che ci saranno assun­zioni solo quando le ordi­na­zioni aumen­te­ranno. Hol­lande ha ceduto per­ché non è riu­scito a man­te­nere la pro­messa che aveva avven­ta­ta­mente fatto appena eletto: «inver­tire» la curva della disoc­cu­pa­zione entro fine 2013. Ma nel 2013 essa ha bat­tuto un nuovo record: 3,3 milioni, che sal­gono a quasi 5 milioni se si aggiunge chi ha un’attività par­ziale, 177.800 in più rispetto al 2012. L’unico dato posi­tivo è una leg­gera dimi­nu­zione della diso­cu­pa­zione gio­va­nile, dovuta agli impie­ghi sov­ven­zio­nati. L’Eliseo si è per­sino rivolto a Peter Hartz, il padre delle leggi tede­sche che hanno impo­sto il För­den und For­den (inci­tare ed esi­gere) ai disoc­cu­pati per obbli­garli a ripren­dere un lavoro, tagliano i sus­sidi, creando una povertà dif­fusa in una parte della popolazione.

Ma in Fran­cia la lotta alla disoc­cu­pa­zione deve fare i conti anche con un tes­suto indu­striale tra­bal­lante e vetu­sto, con­se­guenza dei lun­ghi anni di crisi e del crollo degli inve­sti­menti. Anche i cen­tri di ricerca e svi­luppo segnano il passo, distrug­gendo più posti di quanti non ne ven­gano creati. Il paese è in via di rapida dein­du­stria­liz­za­zione, non com­pen­sata dall’espansione dei ser­vizi, set­tore che comin­cia anch’esso a sof­frire degli stessi mali. Nel 2013 hanno chiuso 263 siti indu­striali, dalla fab­brica Peu­geot di Aul­nay fino alla car­tiera di Docel­les, il più vec­chio impianto del paese, in fun­zione dal XV secolo. In com­penso, ne sono stati aperti solo 124, il 28% in meno rispetto al 2012. Dal 2009, la Fran­cia ha 520 siti indu­striali in meno e l’industria ha perso dal 2007 quasi 500 mila posti di lavoro. I ser­vizi non com­pen­sano più: nel com­mer­cio, per esem­pio, in tre anni le assun­zioni si sono deci­mate (32 mila nel 2010, un decimo nel 2013), a causa del calo del potere d’acquisto. Per il momento, la società ha tenuto meglio che in altri paesi Ue, gra­zie agli ammor­tiz­za­tori sociali e una forte spesa pub­blica (il 57% del pil, sono livelli danesi). Ma, con la svolta di Hol­lande e l’impegno a tagliare la spesa sta­tale, il rischio è di impor­tare in Fran­cia il males­sere sociale che sta distrug­gendo il sud Europa. Già molti segnali vanno in que­sto senso.


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