Eppure nella fabbrica Fiat di Pomigliano nei piani alti tira aria di festa. Si sta preparando una grande kermesse per domani, c’è chi dice che arriverà persino Sergio Marchionne. Motivo, un incontro dei vertici aziendali o la riunione dei concessionari d’Italia (queste le indiscrezioni che girano), si dice pure che animerà la giornata Gigi D’Alessio. Intanto arrivano poltrone e maxischermi per allestire il set. Perché secondo il Lingotto lo stabilimento Vico è l’esempio riuscito della cura Marchionne: i sindacati conflittuali cacciati dalla fabbrica, il contratto rivisto al ribasso, gli operai terrorizzati sulle linee costretti a subire lavate di capo davanti al reparto. La chiamano efficienza e bassa conflittualità, hanno persino fatto venire i giapponesi a conferire la medaglia d’oro per il World class manufactoring, il processo industriale e organizzativo seguito per produrre la Panda. Che metà della forza lavoro non sia mai rientrata in fabbrica non è rilevante. «Attualmente — conclude Percuoco — è tornato al Vico una sola Rsa della Fiom nel reparto di logistica e non può raggiungere i colleghi sulle linee. Praticamente è marcato a vista dalla vigilanza. Tutti gli altri, me compreso, siamo in cassa integrazione nonostante le sentenze di reintegro».
Il suicidio dopo il «confino»
Pubblicato il 6 feb 2014
di Adriana Pollice – il manifesto
Fiat. Giuseppe De Crescenzo, operaio a Pomigliano, in cassaintegrazione dal 2008, si è impiccato nella sua casa
Lo hanno trovato ieri impiccato nella sua abitazione di Afragola. Giuseppe De Crescenzo, 43 anni, separato, due figli, si è suicidato senza lasciare un’ultima lettera con cui spiegare i motivi del gesto estremo. A Pomigliano d’Arco lo conoscevano tutti, era un attivista sindacale del Sl Cobas. Solo qualche giorno fa aveva partecipato a un’assemblea. I compagni lo ricordano in una delle tante foto ai picchetti fuori la fabbrica Fiat con il cartello «Operaio deportato al reparto confino di Nola grazie a un accordo sindacale».
Pino, come lo chiamavano tutti, era in cassa integrazione a zero ore dal 2008, da quando lo trasferirono dall’allora fabbrica Alfa Romeo al reparto Wcl (mai entrato in funzione) all’interno dell’interporto di Nola. Si tratta di quello che tutti conoscono come il reparto confino: il Lingotto ci spedì 316 dipendenti, quelli con ridotte capacità lavorative o i più conflittuali, sulla carta per creare il polo della logistica, sul modello Toyota, per tutti gli stabilimenti del centrosud (Cassino, Melfi, Val di Sandro, Pomigliano…). Nei fatti nessun lavoratore della logistica è stato trasferito a Nola e ogni fabbrica ha tenuto la propria divisione. E’ evidente che per i lavoratori del Wcl non c’è nessun piano Fiat sul tavolo, solo un tirare a campare in attesa della dismissione, con la cig rinnovata di anno in anno. Ogni volta che si avvicina la scadenza scatta la paura di finire in mobilità e poi dritti per strada. La cig in corso termina a luglio, una manciata di mesi, per gente con un’età tra i 35 e i 60, che sopravvive da sei anni con 800 euro al mese e la quasi certezza di non trovare più un lavoro stabile.
«Siamo allo stremo — racconta Mimmo Mignano, collega di Pino De Crescenzo e attivista del comitato Cassaintegrati e licenziati Fiat -, dieci giorni fa abbiamo occupato la sede della Uilm di Pomigliano, siamo saliti su un traliccio a 30 metri, poco distante dalla fabbrica, facciamo picchetti ai cancelli ma nessuno ci ascolta. Qui non è più questione di rinnovare la cig, il tema è che siamo praticamente per strada e non ce la facciamo più. Paghiamo affitti da 450 euro al mese per case fatiscenti, siamo alla miseria». Sgomenta la Fiom: «E’ insopportabile che una persona decida di farla finita per la disperazione di vivere un forte disagio sociale, aggravato da una lunga condizione di cassaintegrato — commenta Francesco Percuoco, responsabile provinciale del settore auto per la Fiom di Napoli -. Questa tragica morte non può passare inosservata, come avvenuto per altri tentativi di suicidio tra i lavoratori, che solo per pura fatalità non hanno avuto lo stesso drammatico epilogo». Il clima a Pomigliano è teso. Il cartello all’ingresso continua a recitare zero infortuni ma l’estate scorsa è morto un operaio nello stabilimento. Quindici giorni fa un addetto agli impianti si è fatto male e venerdì un operaio dello stampaggio si è squarciato la mano, stando alle voci che arrivano dal Giambattista Vico.
Sostieni il Partito con una
Appuntamenti