Poste Italiane, Prc: no al progetto di privatizzazione

Poste Italiane, Prc: no al progetto di privatizzazione

di Ufficio Credito ed Assicurazioni del Partito della Rifondazione Comunista – Esprimiamo radicale contrarietà al progetto di privatizzazione di Poste Italiane.
L’operazione annunciata in questi giorni prevede, nell’immediato, la messa sul mercato del 40% del capitale (quota di per sé già molto elevata) ma, stando alle spudorate dichiarazioni di importanti esponenti del Governo e dei partiti che lo sostengono, questo non sarebbe altro che un primo passo verso la definitiva perdita del controllo pubblico.

Prosegue così, nel nostro paese, l’opera di sistematico smantellamento di quello che rimane della proprietà pubblica di beni, servizi ed attività produttive e ciò avviene questa volta con un autentico “salto di qualità” (attuando peraltro un disegno preparato da anni) e cioè colpendo un’azienda e delle risorse il cui carattere strategico è quasi inutile ricordare: i servizi di recapito, la logistica, la capillare rete distributiva, la raccolta postale, il polo bancario-assicurativo…
Si fa, insomma, l’esatto contrario di quello che si dovrebbe per tentare un’uscita dalla crisi che non determini un massacro sociale, obiettivo per il raggiungimento del quale è sempre più evidente la necessità di un rafforzamento dell’intervento pubblico nell’economia. Si intensificano invece quelle stesse politiche e ricette economiche, funzionali all’interesse del capitale, che hanno dimostrato la loro fallimentarietà e che ci hanno portato sino a qui.
Si dice che la parziale privatizzazione di Poste servirà per la riduzione del debito pubblico e per contribuire al rispetto dei vari diktat (pareggio di bilancio, fiscal compact) che ci siamo autoimposti per ottemperare ai desiderata della troika europea e degli interessi (anche nostrani) che essa rappresenta.

Ma il velo ideologico è davvero trasparente ed è proprio un’operazione del genere che dimostra quali siano, in realtà, le vere finalità dell’imposizione di certi vincoli “esterni”, economicamente assurdi e socialmente insostenibili.

La vendita del 40% di Poste dovrebbe portare ad un’entrata di circa 4 miliardi di euro a fronte di un debito che a novembre ha raggiunto i 2.100 miliardi. In compenso, svendendo l’ennesimo gioiello di famiglia, lo Stato si priverebbe di entrate che (se si guarda agli utili degli ultimi esercizi) si attestano attorno ai 400 milioni annui.

Il classico “buon padre di famiglia” che, avendo un orizzonte temporale di almeno vent’anni, facesse un’operazione simile sarebbe da internare… Figuriamoci uno stato sovrano. Si potrebbe parlare quindi di analfabetismo economico ma ovviamente non è così perché, come ben sappiamo, si tratta di precise scelte di classe che hanno mandanti e vittime sacrificali prestabilite.

In questi giorni, qualche prezzolato commentatore, rispolverando argomenti di quasi trent’anni fa, straparla dei vantaggi che i lavoratori ed i cittadini risparmiatori potrebbero avere da un’operazione del genere! Guadagni borsistici, modernizzazione dell’azienda, democrazia economica grazie all’azionariato diffuso ….E basta!

La storia delle privatizzazioni italiane (e non solo) è ormai abbastanza lunga e densa dal rendere ridicole e improponibili simili considerazioni.

Molti di quelli che oggi plaudono o girano la testa dall’altra parte, tra dieci o quindici anni riempiranno i talk show e la rete con le loro sdegnate considerazioni sul “come invece sarebbe dovuta andare…”. Ma va là !!!

Noi invece quello che in prospettiva succederà crediamo di saperlo già adesso e, come abbiamo fatto negli anni novanta rispetto al processo di privatizzazione del sistema bancario, lo diciamo apertamente: si svilupperà lo spezzatino societario, si andrà verso un progressivo smantellamento dell’universalità e dell’uniformità del servizio postale, si ridimensionerà la rete sportelli, peggiorerà il servizio per le fasce popolari di clientela, si innalzeranno prezzi e tariffe, verrà sferrato un nuovo attacco ai livelli occupazionali ed ai diritti normativi e salariali dei lavoratori postali. E (forse) avremo in cambio qualche posto in CdA per i sindacati concertativi….

>Vogliamo concludere con alcune considerazioni che riguardano più direttamente il settore bancario ed assicurativo che è il nostro specifico terreno di intervento politico.

Naturalmente, la privatizzazione di Poste Italiane coinvolge BancoPosta e le controllate PosteVita, PosteAssicura, BancoPosta Fondi sgr. Anzi, poiché quelle finanziarie sono le attività di gran lunga più remunerative del Gruppo è del tutto evidente che saranno proprio loro il potenziale oggetto del desiderio degli investitori privati. L’ultima significativa presenza pubblica nel settore della raccolta e della gestione del risparmio dei cittadini e nelle attività bancario-assicurative è quindi fortemente a rischio.

Siamo ovviamente del tutto consapevoli che i Governi ed i vertici aziendali di Poste che si sono succeduti in questi ultimi vent’anni non hanno certo mai voluto indirizzare le strategie operative di BancoPosta in modo da qualificarlo come “polo pubblico” alternativo al sistema bancario-assicurativo privatizzato. E questo al di là della concorrenza oggettivamente (e spesso con successo) esercitata sfruttando i noti punti di forza competitivi. Ma è chiaro che, per larghe fasce popolari di utenza e di clientela, le tradizionali forme di raccolta postale e le nuove attività di BancoPosta ha rappresentato proprio questo: un’alternativa alle grandi banche ed alle loro politiche commerciali.
Anche sotto questo specifico punto di vista, quindi, si fa esattamente l’opposto di quello che si dovrebbe. Invece di rafforzare, selezionare ed orientare la presenza di Poste nel settore finanziario al fine di massimizzarne l’utilità sociale ed indirizzarne l’attività verso finalità pubbliche … ci si prepara ad aprirne la stanza dei bottoni ai privati tra cui (siamo pronti a scommettere) certo non mancheranno banche, fondazioni o società da loro controllate.

Un nuovo, doppio e clamoroso, regalo ai banchieri ed alle tecnocrazie finanziarie.

E, infine, ci sembra necessario ricordare quello che, in prospettiva, rischia di essere il punto di maggior impatto macroeconomico della vicenda.

La privatizzazione di Poste Italiane, quando fosse completata, muterebbe la natura stessa degli oltre 230 miliardi di euro di risparmi dei cittadini (sotto forma di buoni fruttiferi e libretti) che oggi godono di garanzia pubblica e vengono convogliati verso Cassa Depositi e Prestiti (di cui il Ministero dell’Economia detiene tuttora circa l’80% del capitale). La perdita della connotazione pubblica del suo canale di raccolta renderebbe irreversibile (temiamo) il processo di progressivo snaturamento del ruolo pubblico della Cassa (per il pieno ripristino del quale è in atto un’importante Campagna guidata dal “Forum per una nuova finanza pubblica e sociale”) minandone alla base le potenzialità di sostegno ad un diverso modello di sviluppo economico ed orientandone definitivamente le attività al servizio del capitale privato e del mercato.

Di fronte ad eventi di simile portata, occorre superare il senso di impotenza alla quale sembrano condannarci gli attuali rapporti di forza culturali prima ancora che politici. Del resto abbiamo importanti esempi su come la battaglia in difesa dei beni comuni possa suscitare consensi ed attivare energie inattese.
Rivolgiamo pertanto un appello pressante alle forze politiche della sinistra comunista ed anticapitalista, ai sindacati di base ed alle componenti di minoranza della Cgil, alle lavoratrici ed ai lavoratori postali, ai movimenti sociali e, in primo luogo, ai sostenitori del “Forum per una nuova finanza pubblica” affinché vengano messe in campo tutte le possibili iniziative per contrastare l’ipotesi di privatizzazione di Poste Italiane. Noi ci siamo.


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